La vacanza

Marco aveva passato parte delle sue vacanze in Inghilterra con la sua famiglia.
Era una vacanza che tutti aspettavano da tempo e l’organizzazione era durata un paio di mesi anche perché avrebbero viaggiato con la famiglia di una collega della mamma.
In realtà la vacanza era arrivata in coda al corso di inglese che Giulia e la sua collega Laura avrebbero fatto per prendere dei punti da portare a scuola.

Ma su questo aspetto Marco non ci aveva capito molto.

Fatto sta che tra un “non vale” e un “però …” lagnoso, i genitori si convinsero che poteva esserci spazio per tutti.

Sonia, la sorella di 15 anni di Marco avrebbe voluto andare al mare con le amiche ma tra usare i suoi soldi e quelli di mamma e papà, aveva poi optato per la versione più economica.

Papà Riccardo si era convinto facilmente quando scoprì che in quel periodo c’era il concerto di Paul Mc Cartney all’O2 Arena; il biglietto del concerto fu acquistato prima di quello aereo.

Il giorno della partenza Marco conobbe anche gli altri partecipanti e scoprì che l’altra famiglia era in realtà arrivata dimezzata, composta per l’occasione solamente da Laura e Francesca una 16enne che ci mise 2 secondi a fare amicizia con Sonia.

I primi giorni a Londra passarono lenti tra gli autobus a 2 piani e le passeggiate infinite con papà Riccardo che pazientemente faceva il baby sitter cercando di mediare tra le esigenze delle ragazze e quelle di Marco.

La visita al parco del college di Shiplake, quello dove Laura e Giulia facevano il corso, fu però l’esperienza più interessante. Dopo aver girato attorno agli edifici scolastici, Marco si allontanò dal gruppo attratto dalle voci di ragazzi che con frequenza cadenzata urlavano “Push, push, push!”

Non poteva credere ai suoi occhi, una ventina di ragazzini stavano giocando a rugby!
Si trovava nella patria fondatrice del suo sport e ad occhio e croce aveva davanti dei suoi coetanei.
Un velocissimo brivido freddo passò sulle braccia.

Marco si avvicinò senza timore, con passo veloce ma, mentre la distanza diminuiva sempre più, si accorse che mancava un elemento di non poca importanza, lui l’inglese non lo parlava.

Un ramo di un albero secolare venne in suo aiuto sfiorandolo quel tanto che bastò per fagli dire “ahi” che agli inglesi suonò come un ciao. Il giocatore con la palla si girò e lancio l’ovale verso Marco che lo afferrò d’istinto a due mani.
L’inglese era più semplice di quello che si studiava a scuola.

La casacca rossa che gli venne consegnata gli fece capire che adesso si era creata la parità numerica tra le due squadre e la partita poteva proseguire secondo le regole.

Dopo le prime azioni nelle quali Marco si defilò lungo la linea laterale per timidezza e rispetto di chi stava giocando, vedendo che il gioco si concentrava maggiormente nella parte centrale, cominciò a muoversi verso quella direzione.

All’improvviso la squadra blu con due rapidi passaggi attaccò il lato destro del campo, il giocatore con il pallone fece una finta per rientrare, Marco abboccò, e con un passaggio spin la palla arrivò all’ala avversaria che corse in area di meta a schiacciare il pallone con un tuffo.

Marco sapeva di aver sbagliato, di non aver controllato se fossero presenti delle minacce prima di spostarsi e la minaccia aveva anche fatto meta.

Nessuno della sua squadra ebbe da ridire in alcun modo e una pacca sulla spalla da parte del giocatore che gli aveva lanciato il pallone all’inizio, unito ad un secco “Better”, lo accolse definitivamente in quello che al momento era il suo tempio del rugby.

Nelle fasi successive Marco si fece notare per le capacità difensive e diversi suoi placcaggi interruppero le azioni della squadra con le casacche blu.

Quello che sembrava essere il capitano della sua squadra si avvicinò a Marco per aiutarlo a rialzarsi dopo che aveva effettuato un placcaggio vincente riuscendo a portare il portatore del pallone fuori dal rettangolo di gioco.
Alla pacca sulla spalla si aggiunse un corroborante “Well done!”

Il gioco si interruppe, al suono di una campanella dell’edificio vicino, e tutti si radunarono alla fontanella per dissetarsi e riporre ordinatamente le casacche sopra la panchina in legno.

Fu allora che un giocatore si tolse il caschetto e scosse i lunghi capelli neri ruotando velocemente la testa, si girò poi verso Marco e disse “Sei italiano vero?”.

Marco riuscì solo ad annuire con la testa talmente era rimasto folgorato dai suoi grandi occhi verdi.