Ben fatto

Fischio.
“Tutti a bere”

Anche per andare a bere i giocatori dell’under 10 correvano come per andare a fare una meta e non importava se la borraccia fosse vicino alla linea di touche o all’abbeveratoio, così si chiamava il grande lavandino in ceramica con 7 cannelle in fila.

Ritornati verso gli educatori trovarono una serie di conetti già disposti in campo per un esercizio.

Gianluca, pallone su una mano e l’altro tenuto sotto braccio, attese che il silenzio si propagasse tra i giocatori.

Gli bastava un’occhiata, profonda e continua. Sapeva chi guardare per attenderne il silenzio e riusciva a beccare sempre quello che terminava per ultimo di parlare o stava poco attento.

Nessuno dei ragazzi aveva mai scoperto come facesse, nemmeno quella volta che si mise a fissare Nicola al quale Davide e Paolo, sempre loro, avevano chiesto di raccontare la storia di Minecraft. Nicola di solito non parlava mai.

La spiegazione dell’esercizio fu molto veloce, si trattava di sfidarsi a fare meta nel classico uno contro uno.

Un rettangolo di gioco, due file ordinate di giocatori che non sanno chi di loro sarà attaccante o difensore. Sarà la palla a decidere per loro, chi l’avrà dovrà metterla al sicuro con una meta.

Marco era in fila e, come fanno tutti (o quasi), aveva già fatto i conti per sapere chi dell’altra fila lo avrebbe sfidato. Uno sguardo verso la sua destra, Filippo che lo guardava con un simpatico ghigno erano la conferma di aver fatto bene i conti.

Man mano che la fila procedeva in avanti, i suoni esterni si attenuavano, le mani cominciavano a sudare e le gambe si facevano dure.
“Pronti? Gioco!”

Marco raccolse il passaggio delicato e preciso di Gianluca correndo verso la meta, Filippo non gli si parò subito davanti ma con il suo avanzare lo costrinse a cercare una via d’uscita, un passaggio impossibile tra il difensore e la linea di touche.
Marco accelerò, non c’erano più finte da fare, solo la velocità.

Il piede destro di Filippo si fissò vicino ai piedi di Marco, il suo braccio destro si parò davanti come una barriera ferroviaria ma il treno di nome Marco voleva passare lo stesso, la spalla destra di Filippo arrivò anch’essa come un treno.

L’impatto fu dal sapore dolce, condito dall’altro braccio del placcatore che chiudeva come una cintura i fianchi di Marco, la testa di Filippo appoggiata sulla natica fu la ciliegina sulla torta.

Marco cadde in avanti ruotando leggermente per proteggere il pallone, le ginocchia toccarono l’erba e subito dopo l’anca e la spalla sinistra si adagiarono sul terreno con Filippo che non abbandonò la presa, l’abbraccio fraterno che aveva bloccato l’avanzamento di Marco.

Fischio.
“Meta!”

I due giocatori sapevano che i piedi di Marco avevano toccato la linea di touche e di conseguenza la meta non era valida ma in partita o in allenamento non erano ammesse lamentele agli errori degli altri.

Era più importante occupare il tempo a migliorare, Marco si sarebbe dovuto allungare meglio verso la meta e Filippo lo avrebbe dovuto placcare prima.

“Better” avrebbe detto un ragazzotto inglese.
“Ben fatto” disse Gianluca.

Fischio.