Il tempio

La partita nel parco del college aveva avuto il beneficio di corroborare lo spirito di Marco e le giornate londinesi trascorsero più piacevolmente specialmente dopo aver acquistato la maglia dei British & Irish Lions nel negozio di Oxford street.

Un pomeriggio, Giulia chiese a Marco e Sonia se, dopo aver accompagnato Riccardo al concerto di Paul Mc Cartney,  sarebbe piaciuto loro andare con Laura e Francesca in un ristorante che le era stato consigliato.
Visto che l’alternativa era stare davanti alla televisione a guardare spettacoli in inglese e dato che British Got Talent quella sera non ci sarebbe stato, l’invito fu accettato.

Il locale era un tipico pub inglese con tavolini alti e sgabelli, maglie di squadre di calcio appese con firme e foto di giocatori più o meno famosi.
Marco riconobbe George Best e Kevin Keegan ma tanti altri, a parte la maglia, erano degli illustri sconosciuti.

Stavano per ordinare quando Giulia, come se la comunicazione non avesse importanza, disse: “Oggi una mamma di qualcuno dei ragazzini con i quali hai giocato a rugby nel parco della scuola mi ha chiesto se ti andava di andare domani con loro ad una gita che fanno vicino a Coventry”

La risposta affermativa ed entusiasta di Marco non si fece attendere molto.
Il resto della serata scivolò via velocemente.

La mattina seguente Marco volle indossare subito la maglia rossa dei Lions nonostante il consiglio contrario della mamma che tentò di trovare in Riccardo un alleato alla sua tesi; fischiettare spensierato Eleanor Rigby fu un voto a favore del desiderio di Marco.

Il pulmino era già pronto per partire quando Giulia e Marco arrivarono.
Un rapido saluto e Marco era già seduto vicino ad un ragazzone che si ricordava di aver visto tra le casacche blu.

Nemmeno il tempo di partire che ecco apparire dallo zainetto del suo compagno di viaggio un mega panino dal quale fuoriusciva una salsa densa e colorata che, al primo morso, macchiò con uno schizzo il vetro del finestrino.
Con un pezzo di pane e un abile gesto effettuò un rapido recupero.

Tra cori e inni in inglese la comitiva fece passare velocemente le 2 ore di bus che separavano il college dalla destinazione.

Una piccola passeggiata dentro un parco curatissimo fece arrivare il gruppo davanti ad una statua che raffigurava un giovane nell’atto di correre in maglietta e pantaloni lunghi con un pallone ovale stretto al petto dal braccio sinistro. Marco capì, erano arrivati a Rugby, là dove la tradizione indica la nascita dello sport a lui caro e quel giovane era William Webb Ellis.

Si narra che durante una partita di calcio, il giovane William prese il pallone con le mani e si mise a correre depositando il pallone nell’altra porta. Il gesto di follia fatto da un gallese tra gli inglesi fu probabilmente preso come atto di sfida e i partecipanti alla partita di calcio, la convertirono nella prima storica sfida ovale.

Venne ben presto il tempo delle regole che, sostanzialmente immutate, sono ancora alla base del rugby moderno. Il passaggio all’indietro e il placcaggio solamente del portatore del pallone sono le caratteristiche di un gioco dove lo scopo è quello di aver cura dell’ovale fino a volerlo mettere al sicuro appoggiandolo nell’area di meta.

Durante la visita l’insegnante spiegava un mucchio di cose che Marco non riusciva a comprendere e la convinzione che l’inglese fosse spiegato male in ambito scolastico assunse maggiore convinzione in lui.

Probabilmente la sua mimica facciale faceva trasparire il disagio o semplicemente fu per cortesia che una voce iniziò a sussurrargli la traduzione in tempo reale di quello che veniva detto.
Marco si girò di scatto e il suo sguardo si incrociò con due grandi occhi verdi contornati da capelli lunghi neri.
“Ciao, io mi chiamo Luisa”

Il viaggio proseguì di nuovo verso Londra e Luisa, che nel frattempo aveva preso il posto del ragazzone con il panino nell’autobus, raccontò a Marco alcune notizie sui compagni di viaggio, i loro nomi e soprannomi e strane abitudini culinarie degli inglesi.

Anche il viaggio verso Londra sembrò trascorrere velocemente e divenne ancora più affascinante quando il pulmino uscì dall’intestatale e si diresse verso una grande costruzione che diveniva sempre più grande man mano che ci si avvicinava.

Marco rimase senza fiato quando lesse la scritta Twickenham.
Erano arrivati allo stadio più famoso, no erano arrivati al tempio del rugby!

La Direzione del college doveva essere molto potente oppure gli inglesi erano molto cordiali, fatto sta che l’intera comitiva fu accompagnata nel lungo corridoio bianco che conduce i giocatori al campo di gioco.

Marco non poté non pensare al fatto che quello stesso pavimento era stato calpestato da Jonny Wilkinson o dal suo idolo Brian O’Driscoll e sfiorò con le dita il muro quasi a voler toccare la mano di chi era già passato lungo quel tunnel.

Calpestare il prato perfetto come un tappeto o una moquette verde tanto era fitto e senza fili d’erba sopra il livello di taglio dava una sensazione diversa da quella del suo campo di allenamento. Questa volta la voglia di correre non sembrava arrivare alle gambe, serviva uno stimolante.

Il ragazzone del panino tirò fuori dal suo zainetto un pallone ovale bianco e rosso che scagliò in alto con un gran calcio.

Le gambe di Marco iniziarono a mulinare come al solito e il terreno di Twickenahm sembrava volerlo spingere in avanti ad ogni appoggio, la velocità aumentò di colpo e con lo sguardo fisso verso il pallone le braccia si protesero in avanti per afferrarlo al volo. I polpastrelli sentirono il contatto e trattennero il pallone spostando il suo equilibrio dinamico verso la direzione presa dalla corsa di Marco.
La presa si fece più forte e il pallone fu messo al sicuro tra il petto e l’avambraccio destro mentre le gambe continuavano a correre.
Ormai i pali si stavano avvicinando e il tuffo al di là della linea di meta fu la naturale conseguenza di una azione travolgente.

Marco era ancora sdraiato a terra con la guancia destra appoggiata sul cuscino ovale quando arrivarono gli altri.

La partita ebbe allora inizio.