Gate

Il pulmino si fermò davanti all’ingresso del college all’imbrunire e i volti sereni dei genitori facevano da contraltare a quelli stanchi dei ragazzi.

Marco scese dal bus quasi per ultimo e fece giusto in tempo a salutare gli altri, agitando il cilindro con il poster di Twickenham, prima di essere avvolto tra le braccia di Giulia.

Il giorno successivo raccontò ai genitori la gita arricchendo la narrazione con tanti particolari e sensazioni personali che stupirono un po’ i due.

Marco di solito non mostrava le sue emozioni in maniera trasparente ma questa volta si era sbilanciato parecchio nella descrizione dei suoi compagni di avventura, specialmente di una certa Luisa.

Quel pomeriggio Giulia aveva l’esame di fine corso alla scuola e Riccardo aveva organizzato un tour al museo delle cere con i figli.

Marco fece di tutto per cambiare il programma a lui non gradito.
Arrivò addirittura a impostare delle lagne come faceva anni prima o a inventarsi mal di pancia del momento.

Riccardo guardò Giulia che guardò Riccardo.

“OK Marco, ti andrebbe di andare con la mamma così magari giochi un po’ con i tuoi amici?” disse il papà con tono suadente.

I pantaloncini corti avevano già preso il posto del mal di pancia.

Al solito campetto di gioco del college gli amici inglesi stavano per iniziare una partita. Marco iniziò a correre urlando “Stop .. Stop!” ben convinto di esprimersi in un inglese comprensibile perché lo aveva letto sui cartelli stradali.

George alzò il pollice in alto mentre continuava a fare le squadre.

Ora Marco si sentiva più integrato nel gioco e le sue caratteristiche atletiche, tecniche e tattiche primeggiavano a volte sui forti giocatori inglesi. Azioni alla mano si alternavano al gioco al piede e gli inglesi si trovavano a meraviglia, a memoria.
Fu l’intuizione a volte a favorire Marco, altre solamente il caso e la fortuna lo misero nel posto giusto al momento giusto.

Ogni tanto Marco appariva distratto, si guardava in giro, per poi ritornare prepotentemente dentro il gioco, dando come al solito il meglio: il rugby non voleva altro.

Al termine del pomeriggio fatto di rugby e null’altro, Marco si avviò verso la classe frequentata da Giulia e Laura. Con sua grande meraviglia vide Luisa appoggiata al muro del corridoio, proprio vicino alla porta della classe, intenta a leggere un libro.

“Ciao, che stai leggendo?” disse Marco ancora sudato e rosso in volto.
“Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne” rispose Luisa senza alzare gli occhi dal libro.
“Come mai non eri a giocare?” incalzò Marco “Perché stavo leggendo il libro?” disse Luisa con ovvietà.
La porta della classe si aprì e poco dopo Giulia e Laura ne uscirono accompagnate dall’insegnante e da altri partecipanti al corso. Ne seguirono saluti, abbracci e scambi di numeri di telefono.
In particolare Giulia si fermò a parlare in inglese con una signora dai capelli neri che Marco non vide perché di spalle.
Luisa intanto aveva chiuso il libro e rivolgendosi a Marco gli chiese quando sarebbe partito per l’Italia. “Domani mattina” fu la risposta.

La mattina seguente Giulia e Laura con le rispettive famiglie si ritrovarono all’aeroporto e mentre superava il Gate B51, Marco pensò a Luisa della quale non conosceva neppure il cognome.