Il ricordo

Al termine della ormai mitica partita a Twickenham, la comitiva di eroi ritornò verso il bus e i ragazzi inglesi ripercorrevano le fasi della partita con generose pacche sulle spalle e urla verso il cielo.

Marco pensava che in Italia il dopo partita tra lui e i suoi compagni è molto simile ma braccia e mani si muovono molto di più. Se anche gli inglesi avessero utilizzato quel linguaggio, anche lui avrebbe potuto partecipare alla conversazione. Oppure avrebbe potuto imparare la lingua e fare come faceva Luisa che se ne stava a ridere in mezzo al gruppo.

Saliti sul bus, Marco si mise vicino al finestrino e Luisa gli si sedette a fianco.
Il sole aveva iniziato a tramontare proprio dietro lo stadio, ombre e colori facevano assumere forme diverse al tutto. Marco guardava lo stadio allontanarsi ma in realtà sentiva ancora l’odore di quell’erba verde, il suono della prima meta e immaginava tante altre cose anche se in realtà non c’erano state.

Luisa gli diede un colpo con il gomito e, quando Marco si girò, gli porse un lungo cilindro di carta avvolto in una custodia di plastica trasparente.

L’etichetta faceva capire che si trattava di un poster di Twickenham, Marco non fece nemmeno in tempo a dire grazie perché Luisa si era spostata con il corpo verso il finestrino e con le mani appoggiate sulla gamba destra di Marco se ne stava con il naso appiccicato sul vetro a guardare lo stadio allontanarsi.

L’irruenza di Luisa aveva messo in imbarazzo Marco che, per tutto il tempo che le servì per accumulare i ricordi, se ne stette fermo e rigido nel vano tentativo di non essere lì in quel momento.

Luisa ritornò al suo posto e cominciò a parlare di quando aveva iniziato a giocare spinta dal padre che era stato un buon giocatore.

Luisa continuò a parlare e Marco non si perse nemmeno una parola fino a quando, stanca, appoggiò la sua testa sulla spalla di Marco e si addormentò.

I suoi capelli neri e profumati erano solo a due dita dal viso di Marco ma già dentro i suoi ricordi.