Le scarpe da gioco

“Cosa fatta capo ha” era solito dire il suo allenatore.

La comprensione di questa frase aveva seguito diversi percorsi passando da un mostro fluorescente con una testa stranissima, a un generale cicciottello pieno di medaglie sopra una pila di mattoncini.

Fu il gioco però a rappresentare al meglio il concetto e, quella volta che dovettero fare la gara a vestirsi più rapidamente per lasciare liberi gli spogliatoi alle altre squadre, Marco capì che “aver fatto” è differente da “dover ancora fare”.

Da quel giorno la preparazione dello zainetto era diventata una sua competenza e quella mattina con ancora gli occhi appiccicati come se avesse del fango sulle palpebre, iniziò a radunare il necessario.

Sicuramente, per guadagnare tempo, si sarebbe vestito già pronto per scendere in campo e, quindi, cominciò a distendere sul letto la nuova maglietta che aveva comperato appositamente in un negozio di Londra nel viaggio estivo fatto con la famiglia.

Appoggiò pantaloncini e calzettoni e andò a prendere in ripostiglio le scarpette.
Il desiderio di andare a giocare era così grande che, messi i calzettoni, Marco infilò lesto il piede destro. Qualcosa non andava, il piede non voleva saperne di entrare e questa volta non aveva invertito le scarpe come gli capitava se preso dalla fretta.

Prese il righello appoggiato sulla scrivania e, come aveva visto fare nel negozio che la mamma frequentava per scegliere la scarpa da abbinare al colore del cielo, provò a fare leva.

Il righello dell’astuccio di Cars si ruppe in uno schiocco doloroso.
Poco male, tanto misurava male.

Ma il piede era ancora fuori.

C’erano forse le unghie da tagliare e tolto il calzino un rapido controllo gli avrebbe consigliato di effettuare quella noiosa e a volte dolorosa operazione di potatura.
Ma anche le estremità dei piedi erano a posto.

“Maaaaaammmmmaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!”

L’urlo lanciato a pieni polmoni con la testa rivolta al soffitto aveva scosso anche il pesciolino bianco e rosso che se ne stava tranquillo nella vasca vicino alla finestra e intercorse poco tempo dall’arrivo trafelato della mamma che nel frattempo stava rimettendo a posto il letto matrimoniale.

Giulia si era sposata poco dopo aver finito l’università di scienze politiche e, il suo sogno di girare il mondo con la carriera diplomatica, si era fermato quando aveva scoperto che tutto ciò non le avrebbe permesso di creare una famiglia come la voleva lei.
A pranzo tutti assieme.

Aveva allora ripiegato con soddisfazione sull’insegnamento e la geografia era la materia che riusciva a mantenerla in viaggio nel mondo.

I lunghi capelli neri, lisci, terminavano sempre con qualche onda che si tramutava in molla ogni volta che il leggero corpo di lei arrestava il suo movimento.

Quella mattina le molle non smettevano di oscillare e ad un certo punto andavano allo stesso ritmo del respiro affannoso.

“Cosa è successo? Ti sei fatto male?”
“No Mamma, è solo che le scarpe da gioco non mi entrano più, deve essere stata l’umidità del ripostiglio.”

Il sole dell’estate aveva fatto il suo lavoro sull’apparato scheletrico di Marco e i suoi piedi non erano rimasti indietro.

Giulia sapeva che l’unica soluzione stava nel grande magazzino ad est della città.
Lo zainetto rimase lì senza capo … né coda.